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lunedì 4 gennaio 2010

COSÌ GIANFRANCO SPINGE LA LEGA VERSO IL SORPASSO



Il sorpasso. Non sarà probabile ma è possibile che la Lega a Nord scavalchi alle prossime elezioni il Popolo della libertà. Sarebbe una novità clamorosa e travolgente non solo per il Pdl, perché sarebbe il segnale di crisi del bipolarismo; sarebbe la conclusione fatale, dopo aver buttato a mare sinistra e destra, grazie ai rispettivi suicidi di Veltroni e Fini. E sarebbe un oblò, anzi una sfera di vetro, con vista sul dopo Berlusconi. Una sinistra carente dà spago a Di Pietro e una destra inesistente dà spago a Bossi.


Nessuno ci avrebbe mai scommesso, ai tempi del coccolone a Bossi, su uno scenario del genere. Fini veleggiava verso il ruolo di successore di Berlusconi, doveva solo vedersela con Casini. E la Lega, con un Bossi sinistrato, sembrava destinata alla marginalità. Per un partito a forte guida carismatica vedere il leader celodurista in quelle condizioni, lasciava il presagio di un irreversibile tramonto. E invece, altro che. Bossi ha acquistato con la malattia e il parlare più stentato un tono quasi oracolare; sembra un Grande Vecchio, un Padrino, un Mandante della Politica. E i suoi ragazzi, da Maroni a Calderoli, da Cota a Zaia, da Borghezio ai sindaci sparsi nel nord, sembrano più gagliardi e tosti, per dirla alla romana, di tanti politici gusto classico che affollano la politica corrente. Perfino le boutade più grevi dell’Umberto, pronunciate con quel tono e con quella bocca, acquistano un peso e un’aura profetica fino a ieri sconosciuti.

Ma da che cosa deriva il rischio di un sorpasso della Lega? Il centrodestra aveva un suo equilibrio, rappresentato da un centravanti, Berlusconi e due ali, Fini e Bossi. Se la Lega tirava troppo verso il federalismo, An bilanciava sul presidenzialismo; se la Lega inclinava sul locale, An recuperava sull’identità nazionale; se Bossi faceva troppo il ribelle selvatico, a Fini toccava il compito di rilanciare il senso dello Stato. E se Bossi strizzava l’occhio ai partigiani, la destra di Fini ricordava anche l’altra faccia della storia. Insomma ad un partito identitario si opponeva un partito identitario, e così l’equilibrio era garantito. Da quando An non c’è più e Fini non esprime più quei valori, la Lega non ha più contrappesi e il centrodestra non è più bilanciato. Da tempo An è scomparsa, e forse non è un male, ma è scomparsa insieme la destra nazionale e tradizionale. Ma soprattutto è scomparso Fini. Che ha deciso di aprirsi uno studio da libero professionista a Montecitorio e di liquidare i pazienti ottenuti grazie alla mutua del centrodestra. Ha cambiato utenti e ramo di specializzazione, consiglia terapie opposte rispetto a quelle che consigliava quando era nel servizio sanitario nazionale, è passato ad altri farmaci. Prendete la questione degli immigrati. Io non sono scandalizzato dalle cose che oggi sostiene Fini in tema di immigrazione, arrivo a capire anche la loro plausibilità in molti casi; mi sembra tuttavia da pagliacci, e sottolineo da pagliacci, definire razzista una posizione in tema di immigrazione condivisa e sostenuta fino a tre anni fa. Non si può firmare con Bossi una legge e poi definire razzista quella stessa legge e il suo coinquilino di firma. E mi sembra un mondo di buffoni quello della stampa italiana che definisce statista uno che dice oggi l’opposto di tre anni fa. Lasciate che io non creda a Fini né per quel che diceva tre anni fa né per quel che dice adesso. Lo considero puro opportunismo, puro tatticismo, altro che conversione o chissà quale travaglio interiore. Mi rendo conto che tutto questo produce uno spostamento di consensi in favore della Lega, che è coerente con il suo territorio, il suo popolo, i suoi elettori, le cose che diceva ieri. E che fa sentire tutto il suo peso sul governo. Complimenti a loro, anche per le cose che non condivido affatto. Non solo: la Lega sfonda a sinistra, ovvero raccoglie consensi operai e perfino comunisti. Fini invece si consegna alla sinistra, ovvero si fa usare in funzione antiberlusconiana dalla sinistra.

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